Personaggi

Camisani e l'ultima (vincente) stagione della StagnOlmese tra ritorni in campo e Checco Gennari

E’ il viaggio di Ulisse, un’Odissea che però ha un raggio molto breve, di 30-40 km al massimo. Ma è pure il romanzo di Dumas, I Tre Moschettieri. E poi può diventare Holly e Benji, con un salto temporale e intellettuale notevole, dalla letteratura classica alla cultura pop. Al centro di tutto sta un eterno ragazzo, spalle larghe e nessuna voglia di mollare e lasciare per strada il suo mondo, quello del calcio: da dirigente, da appassionato, ancora da atleta qualche volta, quanto capita. Gianni Camisani, classe 1974, è tornato in campo per l’ultima gara di campionato in Terza categoria. Sì, avete letto bene, non è un errore di battitura: classe 1974, ergo 45 anni compiuti e ancora la stessa voglia di parare.

“Io Ulisse? Ma se sono di Bonemerse e al massimo mi sono spinto fino a Casalmaggiore – sorride Gianni – . Però è stato un bel viaggio, anzi lo è tuttora. Il calcio continua a darmi molto e io provo a restituire qualcosa. Domenica, nell’ultima sfida di un torneo già vinto dalla nostra Stagnolmese, ho messo a disposizione una bella parata e sono riuscito a tenere chiusa la porta”.

Proprio così: Gianni entra in campo a un quarto d’ora dalla fine. Siamo sul 2-0 per la Stagnolmese contro l’Esperia e sul primo intervento in cui viene chiamato in causa, nell’uno contro uno con l’attaccante, Camisani c’è e risponde presente. “E’ stata una grande parata, è vero, di puro istinto. Ma quelle mi riusciranno anche a 100 anni: il problema è che mi sono reso conto, soltanto in quei 15 minuti, di quanto sia importante l’allenamento e di quanto mi stesse mancando. Da semplice preparatore dei portieri quale sono adesso, avrei fatto fatica ad accorgermene. L’ultima gara, peraltro, è stata un romanzo: a scriverne a tavolino la sceneggiatura, non sarebbe riuscita così bene”.

Con Gianni, infatti, entra in campo pure Luca Rossini, classe 1981, un altro della vecchia guardia assieme a Riccardo Rabaiotti. “Ricky ha preferito non sporcarsi le mani, pardon le scarpe, ed ha vestito i panni dell’allenatore anche nell’ultima sfida: peccato perché sarebbe stato un bel trio di ‘vecchiardi’. Scherzi a parte, l’apoteosi l’abbiamo raggiunta quando Rossini è andato in gol per il 4-0 finale. Ricapitolando: io ho salvato un gol fatto, mi sono pure incazzato con la mia difesa perché non aveva coperto bene, poi Rossini l’ha messa dentro. Sì, meglio di così era impensabile. L’emozione più intensa, comunque, è stata quella del riscaldamento: fare due corse vicino alla panchina, vedere che si solleva il numero dei cambi, l’abbraccio col ‘Rosso’ e poi via. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui non ho mai voluto fare una vera e propria gara d’addio. E non è giunto il momento nemmeno ora. Se serve, io i guanti me li metto ancora”.

Gianni Camisani è di Bonemerse, come detto, ma ha visto la propria carriera decollare alla Casalese, nel campionato Interregionale 1994-1995 (“gli anni del Militare per me”) e ha trovato una seconda casa a Gussola. “Fosse stato per me, avrei preso quasi un appartamento da quelle parti, perché Gussola mi ha dato tutto. Mister Oliva, poi mister Cappelli, stagioni indimenticabili al di là dei risultati, sia chiaro, ma per il tessuto connettivo umano che si è creato: molte amicizie tuttora attuali sono nate lì per me”.

E siamo giunti ai tre moschettieri. “Alla Stagnolmese – ormai l’avete capito – siamo io, Rossini e Rabaiotti; al Gussola però eravamo io, Giovanni Pagliarini, Alfredo Poli e Giagio Boni. Va beh, siamo in quattro, ma con D’Artagnan erano in quattro pure nel romanzo, quindi ci sta. Una squadra dai grandi valori, dentro il campo ma anche nella baldoria fuori dal rettangolo verde”.

Pieve d’Olmi è un po’ il terzo nucleo della carriera di Camisani. “All’Olmese ci siamo salvati una volta al 94’ del playout di ritorno in casa della Baldesio e l’anno dopo, come Stagnolmese, dopo la fusione, siamo subito retrocessi. Dopo due annate così sofferte e tribolate, capisci che devi cambiare. E tutto è nato, anzi rinato, davanti a una birra, una sera d’estate. Con la società che ci ha dato carta bianca, Riccardo Rabaiotti ha deciso di fare solo l’allenatore e io di dargli una mano. Ci siamo sentiti i reduci del Vietnam, che avevano un debito d’onore verso quella società. Ecco perché riportarla in Seconda subito, a distanza di un solo anno, vincendo la Terza, è stato quasi necessario per noi”.

La Stagnolmese ha vinto per Checco Gennari, e qui dobbiamo lasciare da parte l’epica per entrare nella quotidianità che, come tale, riserva a volte drammi inattesi. “Un ragazzo d’oro, morto a 36 anni nel sonno. Ricordo un episodio, quando ci ripenso mi viene ancora la pelle d’oca: era venerdì sera, Checco – che spesso partiva dalla panchina quest’anno – sapeva che avrebbe giocato titolare la domenica. Si era allenato con tanta voglia: lui non aveva un fisicone, e faceva fatica a volte a stare dietro al gruppo, ma era una fatica che sapeva di spendere a fin di bene, perché voleva stare insieme a quei ragazzi, una famiglia allargata per lui. E non voleva essere uno sparring partner. Verso la fine dell’allenamento del venerdì tira una ‘puntazza’ al pallone e gli si apre in due la scarpa, un po’ vecchiotta. La prende, è da rottamare, e così la lancia nel cestino: “Ho tirato la mia ultima puntata” dice a metà tra l’arrabbiato e lo scherzoso. La notte stessa ci ha lasciato. Come è stato? E’ stato un lutto che abbiamo affrontato insieme dal primo momento: lo abbiamo superato così, o forse non l’abbiamo mai davvero superato, ma tutto quanto è stato fatto insieme. E per lui, nel suo ricordo. Per alcuni era un amico, per altri un fratello, per altri un confidente. Ma tutti gli volevamo bene. Il Memorial che abbiamo giocato in sua memoria il 4 maggio è riuscito bene, perché il suo spirito ha aiutato tutti noi a organizzare, invitando squadre di Giovanissimi, perché lui nel calcio, per come era fatto, sarebbe rimasto e avrebbe sicuramente fatto l’allenatore di una squadra giovanile”.

Difficile riprendere l’intervista dopo questa “botta”. E allora limitiamoci a una domanda. Ci mancano solo, dell’elenco iniziale, Holly e Benji. Dove sono? “Quelli siamo sempre il ‘Rosso’ e io, attaccante e portiere, prima dell’ultima gara, prima di entrare in campo”. Prima di una nuova pagina del romanzo di Camisani. Tutta ancora da scrivere.

Giovanni Gardani

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...